martedì 3 giugno 2014

IL PERCHE’ DEI LIBRI - di Alessandro Moscè -

C’è una considerazione di Paul Auster, grande intellettuale statunitense, scrittore e cineasta, tratta da “L’invenzione della solitudine” (ripubblicato da Einaudi nel 2005), che dice: “Ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere e le sue parole rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un uomo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine”. Ma la solitudine è creativa, specie quella che ci pone di fronte al mistero di un libro, alle sue tante vie, alla moltitudine dei personaggi che racchiude, agli accadimenti. Auster stabilisce una simbiosi tra scrittore e lettore. Qualche settimana dopo l’inattesa morte del padre, si ritrova nella grande casa ormai deserta di un uomo che per tutta la vita aveva vissuto caparbiamente, distaccato dagli affetti. E accostando i frammenti sparsi di un’esistenza pressoché estranea, facendo lo spoglio delle carte e degli oggetti personali di quel padre austero, Auster si imbatte nelle testimonianze. Attraverso un mosaico di immagini, coincidenze e associazioni, lo scrittore riflette su come il caso, impercettibilmente, governi le nostre vite e la natura solitaria dello scrivere. “L’invenzione della solitudine” è un delicato ritratto di famiglia, tutto giocato sul filo della memoria, una commossa riflessione sulla difficoltà di essere figli e padri. In fondo ciò che può accadere a chiunque, giornalmente. E la forza dei libri letterari sta proprio in questo: ci apre finestre sul mondo e ci insegna a guardare meglio noi stessi cogliendo aspetti peculiari dagli altri, anche dagli “esseri di carta”, che sono appunto i protagonisti delle storie che leggiamo. Le cosiddette relazioni di ruolo le troviamo nella vita come nei libri, e sono di tipo personale, basate su ruoli familiari e sociali. L’indagine dell’animo umano emerge anche dai libri, da un’esistenza invisibile, che non si calcola, che non ha un prezzo, ma resta per sempre, come il rapporto padre-figlio nelle parole di Paul Auster. Purtroppo, in Italia, di libri si parla sempre meno e la televisione li disconosce, a meno che non riguardino la cucina, le barzellette o qualche invenzione esoterica. Invece è proprio dalla riscoperta della conoscenza, della “vita interiore” moraviana, per così dire, che può far ripartire la misera società di oggi. Cioè dalla dematerializzazione in virtù di qualcosa che ci appartiene nell’endogena percezione delle cose. Ecco allora che Jorge Borges ci soccorre con questa esatta rivelazione: “Il libro non è un ente chiuso alla comunicazione, è una relazione, è un asse di innumerevoli relazioni”.
Alessandro Moscè

Nessun commento:

Posta un commento