C’è
una considerazione di Paul Auster, grande intellettuale statunitense,
scrittore e cineasta, tratta da “L’invenzione
della solitudine” (ripubblicato da Einaudi nel 2005), che dice:
“Ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto
che si può prendere, riporre, aprire e chiudere e le sue parole
rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un uomo,
sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che
siamo di fronte a una particella di quella solitudine”. Ma la
solitudine è creativa, specie quella che ci pone di fronte al
mistero di un libro, alle sue tante vie, alla moltitudine dei
personaggi che racchiude, agli accadimenti. Auster stabilisce una
simbiosi tra scrittore e lettore. Qualche
settimana dopo l’inattesa morte del padre, si ritrova nella grande
casa ormai deserta di un uomo che per tutta la vita aveva vissuto
caparbiamente, distaccato dagli affetti. E accostando i frammenti
sparsi di un’esistenza pressoché estranea, facendo lo spoglio
delle carte e degli oggetti personali di quel padre austero, Auster
si imbatte nelle testimonianze. Attraverso un mosaico di immagini,
coincidenze e associazioni, lo scrittore riflette su come il caso,
impercettibilmente, governi le nostre vite e la natura solitaria
dello scrivere. “L’invenzione della solitudine” è un delicato
ritratto di famiglia, tutto giocato sul filo della memoria, una
commossa riflessione sulla difficoltà di essere figli e padri. In
fondo ciò che può accadere a chiunque, giornalmente. E la forza dei
libri letterari sta proprio in questo: ci apre finestre sul mondo e
ci insegna a guardare meglio noi stessi cogliendo aspetti peculiari
dagli altri, anche dagli “esseri di carta”, che sono appunto i
protagonisti delle storie che leggiamo. Le cosiddette relazioni di
ruolo le troviamo nella vita come nei libri, e sono di
tipo personale, basate su ruoli familiari e sociali. L’indagine
dell’animo umano emerge anche dai libri, da un’esistenza
invisibile, che non si calcola, che non ha un prezzo, ma resta per
sempre, come il rapporto padre-figlio nelle parole di Paul Auster.
Purtroppo, in Italia, di libri si parla sempre meno e la televisione
li disconosce, a meno che non riguardino la cucina, le barzellette o
qualche invenzione esoterica. Invece è proprio dalla riscoperta
della conoscenza, della “vita interiore” moraviana, per così
dire, che può far ripartire la misera società di oggi. Cioè dalla
dematerializzazione in virtù di qualcosa che ci appartiene
nell’endogena percezione delle cose. Ecco allora che Jorge Borges
ci soccorre con questa esatta rivelazione: “Il libro non è
un ente chiuso alla comunicazione, è una relazione, è un asse di
innumerevoli relazioni”.
Alessandro Moscè
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