Nel maggio del 2007, durante
la campagna elettorale per la sfida tra gli aspiranti sindaco Roberto Sorci ed Enrico
Carmenati (eravamo al secondo turno) mi arrivò una telefonata subliminale per
sapere che cosa ne pensassi dei lavori pubblici effettuati dalla giunta del
sindaco uscente. Mi pare che mi chiesero un voto, nientemeno. Premetto che la
settimana prima era stata asfaltata mezza città. Risposi che avrei giudicato positivo
l’operato se avessero messo la moquette dentro il mio appartamento. La
sondaggista rimase senza fiato. Le chiesi quanti anni avesse e se fosse ancora sposata.
Aggiunsi anche che doveva stare attenta alla crisi del settimo anno e che
sapevo dei tradimenti del marito. Ovviamente riattaccò. La premessa è per dire
che i sondaggi telefonici non solo non sono attendibili, ma spesso invitano gli
italiani ad esprimere le loro più disparate opinioni. Mi è venuto in mente questo
leggendo un’intervista su “Repubblica” ad Umberto Eco, il quale mercoledì 6
marzo, ha dichiarato: “Se qualcuno mi chiede per telefono chi voterò mi sento
autorizzato a raccontagli qualunque panzana”. Siamo entrati nell’epoca della
“sondocrazia”, che però ha già fallito come la politica italiana. La falsità
con cui la popolazione risponde alle sollecitazioni di questo tipo, meriterebbe
un’indagine sociologica. In fondo i sondaggi piacciono perché ci consentono il
travestimento: ci fanno sentire Pinocchio e anche un po’ Lucignolo, e come
sostiene Eco, abilitati a dire l’opposto di ciò che pensiamo, e perfino a
recitare la parte del diavolo (una sorta di burlesque simulato). Forse sarebbe
il caso di abolirli una volta per tutte. Presumibilmente gli esegeti delle
previsioni elettorali dovranno cambiare mestiere. La
prima volta in cui la discrepanza tra sondaggi e risultati elettorali assurse
all’onore delle cronache e occupò i media, fu nelle elezioni presidenziali
americane del 1948, quando lo sfidante repubblicano Dewey
era stato dato per vincitore certo, tanto da portare alcuni giornali a stampare
i titoli con la sua vittoria, per poi vederlo superato dal presidente Truman.
Allora eravamo agli albori della scienza demoscopica. Ma perché gli
italiani hanno mentito anche il 24-25 febbraio? La
verità è che la gente non ama rivelare ciò che è sentito come un segreto, molto
più intimo di quanto si creda. Si divide la democrazia, ma il voto resta del
singolo. Inoltre c’è una fetta di popolazione che si crede discriminata dal
rivelare la propria preferenza per il centro-destra. Lo diceva tempo fa Gian
Pietro Simonetti: uno dei demeriti della sinistra di casa nostra è la
presunzione di superiorità antropologica. E poi i sondaggi rivestono un
carattere aprioristico: chi li fa ha una sua opzione che trapela,
inevitabilmente, dal come si pone. La stessa cosa accade al bar o in piazza. Ma
attenzione: chiunque potrebbe dire tutto e il contrario di tutto, come nella
commedia degli equivoci. In fondo, in una fase di ingovernabilità come quella
che stiamo attraversando, il sondaggista gabbato ci fa sorridere. E’ l’unico
che ci strappa un velo di ottimismo mentre la patata bollente passa dalle
segreterie di partito alle piattaforme virtuali senza soluzione di continuità.
Ai posteri l’ardua sentenza…
Alessandro Moscè
Direttore Editoriale
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