In un vortice di menzogne che confonde le lucciole per
le lanterne e in un silenzio generale che nulla ha a che fare con la saggezza
proverbiale di Salomone, alla nostra Città non rimane che pagare il conto di
una gravissima connivenza portata avanti per anni da chi ha sempre evitato di
attribuire le giuste responsabilità ai veri protagonisti della vicenda. Lo
spezzatino è stato servito: un pezzo di stabilimento venduto in Ucraina, una
parte alla Ghergo Group, un altro ad Alcool di Cerreto D’Esi, un altro ancora
alla Tecnogas che poi, a sua volta ci sembra sia stato rivenduto. Una città in
ginocchio, una crisi profonda che, unita alla cattiva politica del territorio
non fa che accentuare la drammatica realtà: Fabriano è una città altamente
tradita! Si, perché la realtà fabrianese
è quella di una città umiliata e
ingannata da un modello di sviluppo che si assicurava indistruttibile e che
invece si è palesemente svelato per quello che è sempre stato e che tutti, per
evidente convenienza, hanno sempre taciuto. Oggi a rompere quel silenzio sono
state le banche, le stesse che per anni hanno sostenuto la Ex Antonio Merloni,
anche a danno degli imprenditori più piccoli, e che ora, appellandosi alla
Corte d’Appello di Ancona hanno tecnicamente resa nulla la vendita alla Jp di
Giovanni Porcarelli. Come Sindacato non possiamo non essere vicini ai 700
lavoratori coinvolti in questa vicenda, ma non possiamo neppure dimenticare la
triste realtà dei 1500 esodati e neppure quella legata all’indotto che conta,
all’incirca, sedicimila lavoratori. Le nostre maggiori perplessità nascono proprio
dall’atteggiamento passivo dei lavoratori ormai coscienti che il sistema bancario sta di fatto
togliendo loro la possibilità di avere un impiego e quindi un futuro. Siamo
infatti pienamente consapevoli che alcuni di loro hanno rapporti vincolati da
mutui o affidamenti instaurati con gli stessi
istituti coinvolti, ma nel
contempo siamo altrettanto certi che alcuni di loro possano non essere immobilizzati da tali esposizioni. E da qui nasce la nostra domanda: “Perché lasciare i propri risparmi
affidati a quelle banche che oggi
mettono a repentaglio il futuro delle loro famiglie? Perché continuare a
versare soldi della cig in quelle banche che, con il pugno di ferro, hanno
impugnato la vendita dell’azienda che rappresenta la loro stabilità e dignità
lavorativa?” Naturalmente siamo
consapevoli che la vendita dell’ Azienda
non sia del tutto legittima ma l’attenzione principale del nostro Sindacato non
può che rivolgersi verso quel territorio altamente produttivo che per anni ha
contribuito ad arricchire gli stessi istituti di credito. Si vuole giocare con
il pugno di Ferro? Bene, facciamolo…ma
non certamente strappando finte carte di credito davanti le banche, non
è questa una vera protesta. L’unica vera ribellione dei 700 lavoratori allargata all’intero
territorio Fabrianese è quella volta a chiudere i rapporti, laddove è possibile farlo, con quelle banche
che non vogliono contribuire alla rinascita del nostro territorio. Non
dimentichiamo che l’indotto conta oggi 16000 lavoratori e che decine di piccole
imprese sono a rischio chiusura. Questo è il nostro personale invito
rivolto ai lavoratori e a tutta la
città. Maggiore sarà l’adesione a questa “protesta bianca” e maggiore sarà
l’impatto che subiranno le banche coinvolte in tale vicenda. Non parliamo di
briciole ma di milioni di euro che potrebbero sensibilizzare le menti di: MONTE DEI PASCHI DI SIENA, BANCA TOSCANA,
BANCA CR FIRENZE, UNICREDIT BANCA, BANCA POPOLARE DI ANCONA, CASSA DI RISPARMIO
DI FABRIANO E CUPRAMONTANA, BANCA DELL'ADRIATICO. BANCA MARCHE. Il
dovere morale di ribellarsi Esiste!
Sicel Marche
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