giovedì 8 maggio 2014

RISCUOTE LA PENSIONE DEL MARITO MORTO, CONDANNATA PER TRUFFA

Per tre anni, dopo la morte del marito, la vedova avrebbe continuato a riscuotere la pensione anche se non ne aveva diritto. "Non lo sapevo, pensavo fosse una pensione di reversibilità”, ha tentato invano di difendersi Maria S., 68 anni, residente a Falconara. Giustificazione, quella sostenuta dalla difesa, che però non ha convinto fino in fondo il giudice Paolo Giombetti, che ha condannato la vedova a due anni di reclusione per il reato di truffa. Tra il 2009 e il 2012 l’Inps sarebbe rimasta all’oscuro del decesso del pensionato a cui versava un vitalizio mensile di circa 900 euro. Gli incroci tra le banche dati dell’anagrafe e dell’istituto previdenziali non rilevarono anomalie e la vedova - questa è l’accusa che l’ha portata a giudizio - ben si sarebbe guardata di comunicare all’Inps la morte del marito. Per quasi tre anni Maria P. avrebbe continuato, puntuale come sempre, a riscuotere la pensione utilizzando una delega che a suo tempo gli aveva regolarmente rilasciato il marito. Solo nel 2012, come ha testimoniato in aula una funzionaria dell’Istituto, l’Inps scoprì di aver versato a lungo soldi a un morto e presentò un esposto alla Procura della Repubblica, che dopo aver indagato sulla vicenda ha chiesto e ottenuto il processo della vedova. Per la pubblica accusa infatti l’anziana ci avrebbe marciato, continuando a riscuotere il vitalizio anche dopo il 2009. Secondo i calcoli riportati nel capo d’imputazione, Maria S. avrebbe incassato in questo modo truffaldino circa 35 mila euro che non dovevano uscire dalle casse dell’Istituto di previdenza. Tutt’altra la versione della difesa, sostenuta in aula dall’avvocato Silvia Pennucci. L’anziana avrebbe incassato la pensione in assoluta buona fede, convinta di averne diritto. Essendo pressoché analfabeta - è stata la tesi difensiva - Maria S. non era in grado di distinguere tra la pensione di reversibilità e la pensione che invece veniva erogata al marito, priva della trasmissibilità al coniuge. “Non c’è stato dolo, mancava l’elemento psicologico del reato”, ha chiesto l’assoluzione l’avvocato Pennucci. Per il giudice invece l’imputata era consapevole di incassare somme non dovute e così è arrivata una condanna, che sarà sicuramente appellata. Casi non proprio rari, quelli di vedove che continuano a riscuotere, anche in assenza di reversibilità, i vitalizi pagati dall’Inps a mariti defunti. Nel 2012 finì agli arresti domiciliari un’anziana di Ercolano, provincia di Napoli, accusata addirittura di aver truffato lo Stato per 151 mila euro ritirando per ventuno anni la pensione di invalidità del marito già deceduto. (Il Corriere Adriatico)

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