Un’indagine Demos Coop su “Gli italiani e
l’informazione” ha messo in evidenza come nel nostro Paese, per capire ciò che
accade, ci si fidi più del web che della televisione. In una generale ondata di
sfiducia verso tutto ciò che può essere anche indirettamente legato alla
politica, tg e talk show perdono terreno e lo acquistano riviste online e social
network. Tra questi ultimi, Twitter è quello che, stando al campione oggetto
dell’indagine, consentirebbe di mettere in collegamento diretto il cittadino
con il proprio opinion maker. Fosse vivo, Karl Popper probabilmente avrebbe
riproposto per il web ciò che scrisse per la Tv, cioè che serve una patente in
quanto chi gestisce i contenuti di un mezzo così potente può causare danni
sociali consistenti. Ovviamente è una provocazione, ma non si può utilizzare
internet senza rispettare una precisa tavola di valori. Il principale dei quali
è la responsabilità. Perché il web, come tutti i fenomeni di massa, presenta un
lato positivo e un lato negativo. Il primo è che arricchisce la libertà di
informazione nel nostro Paese. E’ vero che il giornalismo –anche quello online-
risponde a delle logiche editoriali che risentono del contesto politico ed economico.
Ma nel nostro panorama mediatico ognuno può trovare rappresentata la propria
posizione e questo anche grazie al web. Il lato negativo è che se internet è
percepito come ‘affidabile’ non è detto che sia anche attendibile. Non sempre
infatti l’utente medio è in grado di distinguere ciò che è informazione da ciò
che non lo è. Il web, inoltre, risponde appieno all’assunto di Marshall
McLuhan, secondo cui ‘il mezzo è il messaggio’. E ciò si riscontra soprattutto
nella comunicazione politica, dove il realizzarsi di questa regola finisce per
distorcere i concetti. I social network sono un irrinunciabile valore aggiunto
ma sarebbe un errore credere che soprattutto lì possano nascere le piattaforme
programmatiche, perché certe materie non stanno in un tweet, credere il
contrario è come far entrare un elefante in una scatola di fiammiferi.
Per questo il web si presta, molto più che la tv e i giornali, alla cattiva
interpretazione, alla semplificazione, alla mistificazione. Nella foga di
tagliare e ‘far entrare in poco spazio’, si finisce per dare in pasto
all’opinione pubblica una visione del mondo troppo semplicistica e che non
invita alla riflessione. Anche per questo, dunque, servirebbe una ‘patente
della responsabilità’, più a tutela di chi fruisce le informazioni che di chi
le fornisce. Ma è alquanto difficile chiederla nell’epoca dei comunicatori
d’assalto, dei cacciatori di consenso e, soprattutto, dei grafomani
appassionati di complotti e tesi dietrologiche.
Pietro De Leo
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