A mezzanotte, allo scoccare del 6 aprile, l'Aquila ricorderà le 309 vittime del terremoto a quattro anni di distanza. C'è dolore e rabbia nei volti degli aquilani che attendono, ancora, che la vita ritorni alla normalità. "Il rischio di uno spostamento della popolazione è ormai tangibile" affermano alcuni giovani in piazza della Cattedrale semi deserta. Il Centro Storico non esiste più e solo nell'ultimo anno sono emigrate 3.500 persone. "E' difficile vivere a L'Aquila. Attendiamo, dopo un anno dall'insediamento, i fondi dal Governo Monti", spiega l'ex Commissario per la ricostruzione Chiodi. Di sorrisi se ne vedono pochi. A mezzanotte inizierà la Santa Messa presieduta dall'Arcivescovo Molinari. Al termine la notte proseguirà con la veglia di preghiera "Aspettando le 3,32" con il Vescovo ausiliare Giovanni d'Ercole con i gruppi della Tendopoli di San Gabriele dell'Addolorata. La Veglia terminerà alle ore 3,32 con 309 rintocchi che, al suono della campana, scandiranno il ricordo delle vittime.
Di seguito il reportage di Marco Antonini, a L'Aquila per la Pasqua 2012.
"Nulla è cambiato"
Non sembra Pasqua di Risurrezione a l'Aquila. Il
capoluogo abruzzese, a tre anni di distanza dalla feroce ferita del terremoto,
non festeggia l'evento cristiano della gioia e della speranza. Tempo climatico
discreto, sereno, a momenti nuvoloso. Le cime appenniniche del Gran Sasso d’Italia
sovrastano l'area sismica e in serata, in quota, è attesa la neve. Con estrema
facilità raggiungo in auto la Cattedrale supplente: la meravigliosa Basilica
secolare di Santa Maria di Collemaggio.
In pochi secondi trovo un comodo
parcheggio davanti ad una palazzina distrutta. Tutto è deserto intorno anche se
sono quasi le 11 del mattino. Non si sentono campane a distesa che invitano
alla festa. Eppure dopo l'agonia del Venerdì Santo venivano slegate proprio per
la Pasqua. La Basilica, all'esterno, offre una visione artistica unica con la
sua facciata del tredicesimo secolo. E' appena terminato il Pontificale
dell'Arcivescovo Metropolita Giuseppe Molinari. I fedeli escono dal portone di
sinistra. Le altre porte, compresa quella Santa della “Perdonanza” sono sigillate.
Tanti volti seri e chiusi in se stessi. Pochi sorrisi, poca voglia di fare
chiacchiere da piazza come spesso accade dopo le funzioni religiose in tante città
normali. Non c'è niente da festeggiare e si vede. Mi convinco ad entrare. Mi si
apre davanti uno spettacolo apocalittico che deprime. Pareti spezzate, le
colonne della navata centrale tutte imbrigliate, la cupola crollata e
sostituita provvisoriamente da una copertura che permette di vedere il cielo.
Forse, la speranza non muore mai. E' Pasqua anche a l'Aquila. In molti sostano
davanti all'urna di Pietro Angeleri, eremita del monte Murrone, sopra Sulmona,
che, in questa Basilica, venne eletto Papa nel 1294 con il nome di Celestino V. Tutta
la città è a Lui devota. Oggi più che mai. Nella prima panca di destra c'è una
signora in raccoglimento. Mi avvicino per avere alcune spiegazioni sul più
importante monumento religioso de l’Aquila. Davanti a noi la base delle due
enormi colonne crollate. Qui la spontaneità supera il giornalismo. L'aquilana
nell'animo comincia a raccontare una storia che la televisione non sempre
riesce a cogliere, presa da numeri, bilanci di donazioni e polemiche politiche
post-sisma. "Noi aquilani non c'eravamo mai accorti di quanto la città
fosse meravigliosa. Purtroppo, solo ora che è vuota, deserta, triste, ci
accorgiamo di ciò che avevamo. Le chiese (un centinaio) con Collemaggio, il
Duomo e San Bernardino in primis, sono rimaste ferite al cuore e con esse, il
patrimonio storico, artistico e culturale della città e noi.
Il centro storico
non esiste più. E poi i giovani. Una città con migliaia di studenti
universitari che sono la vita de l'Aquila ora si guardano intorno." Le
lacrime scendono nel volto e parlano più delle tante parole che appunto nel
taccuino. Alcuni fedeli si avvicinano. "Qui non è ripartito nulla della
ricostruzione vera e propria del Centro Storico, serviranno tanti, troppi, anni
per restaurare tutto e tanti soldi. Io non so se avrò la fortuna di vivere a lungo
per rivedere la rinascita. Magari Dio me lo permettesse." Diversi sentimenti
prevalgono. Rabbia con la ricostruzione pesante che va a rilento. Contentezza
per essere vivi. Tristezza con la violenza del terremoto che non si dimentica.
"Ogni giorno facciamo i conti con quella notte. Prego con tutto me stesso
che a l'Aquila arrivi la Mattina di Pasqua”, sussurra un anziano collaboratore
della Basilica. Mi addentro nel centro cittadino. Qui per secoli si è svolta la
vita della città. Incontri fatti di sguardi, passeggiate mano nella mano,
processioni di un popolo con la statua del patrono, aperitivi o caffè, mostre, corsette
domenicali, conferenze stampe... Come può chiamarsi città ciò che oggi è
chiuso, delimitato dappertutto con transenne, cartelli, sostegni e ringhiere?
Il Centro Storico non c'è più. Con esso se ne sono andati gli aquilani. Una
camminata lunga un'oretta mi aspetta. Incontro trenta o quaranta persone in
tutto. Anche il più banale rumore, come un sasso che cade, rimbomba e ruba la
scena. C’è vuoto e silenzio. Quasi imbarazzante. Niente vita nel cuore de
l'Aquila. Tutto sembra fermato a quel 6 aprile 2009. Tanti negozi semi
distrutti non sono stati più riaperti, nemmeno per portare in salvo alcuni
ricordi personali. Le vetrine sono ancora confuse e devastate dalla scossa, tutto
è rimasto com'era quel giorno. Avvicinandomi verso la Piazza centrale scopro
quante parti del centro sono state denominate "Zona Rossa". Non posso
entrare. Provo ad allungare lo sguardo. Una distesa di case puntellate e niente
di più. I soldati son li a sorvegliare che nessun sciacallo entri a derubare
distruzione e disperazione. Niente, o quasi, si è salvato.
Non ci sono bambini
che sorridono o genitori che avvertono che il pranzo è pronto. Nemmeno squilli
di cellulare... Davanti ad una ennesima chiusura di una via per inagibilità, in
una rete metallica, sono state attaccate tante chiavi di case annullate. C'è un
cartello: "Queste sono le chiavi delle nostre case appese alle transenne
come le nostre speranze". E ancora crepe e squarci che ti fanno
intravedere dentro l'abitazione. Fuori la città si prova ad andare avanti. In
molti si sono radunati nei moderni centri commerciali di periferia:
"Purtroppo, oggi, è quello il nuovo fulcro della città." Mons.
Giovanni D'Ercole, vescovo Ausiliare, scrive in un suo messaggio alla Diocesi:
"Si percepiscono l'emergenza delle relazioni e l'urgenza educativa. Il
terremoto ha minato i rapporti tra le persone. Con ragione si può dire che solo
se ci sarà ricostruzione umana ci sarà quella materiale." Prosegue
l'Arcivescovo Molinari: "Abbiamo conosciuto dolore, paura, lutto. Abbiamo
sperato e non cessiamo di sperare. Anche se spesso è difficile. E' difficile
sperare quando, dopo la stagione della solidarietà e dell'attesa fiduciosa, ci
siamo scontrati con le promesse non mantenute, con le allucinanti resistenze
della burocrazia, con le meschinità della politica e gli egoismi di tante
persone. Eppure bisogna continuare a lottare e a sperare." Nella
primissima fase dell’emergenza, dal Comune di Fabriano sono scesi quattro
tecnici muniti di auto per gli spostamenti e di un camper adibito ad alloggio ed
ufficio per non pesare sulla già precaria condizione della zona colpita. Dopo
un primo incarico di sopralluogo nei dintorni dell’Ospedale Civico de l’Aquila,
i lavori dei geometri fabrianesi si sono spostati a Pizzoli e Arischia con il compito di verificare l’inagibilità delle strutture. In una
seconda fase, invece, i tecnici si sono spostati a Barisciano per gestire l’emergenza
dal punto di vista cartografico. I nostri hanno messo a disposizione la loro
esperienza maturata con il terremoto del 1997 tra Marche e Umbria e in Molise
nel 2002. Da Fabriano sono partiti anche diversi nuclei abitativi che sono
stati impiegati nelle strutture sportive e come farmacie.
Nulla, o quasi, è cambiato da quei primi mesi di emergenza. Alfredo Di Varano, sindaco di Isola, comune di quasi 5 mila abitanti, è chiaro: “"Per le nostre terre ricostruzione significa tornare alla vita, soprattutto per la città dell'Aquila, con la quale il mio comune è separato solo dal Gran Sasso. L'aquila è morta. Ora ha bisogno di uno scatto che porti alla rinascita vera della città. Ricostruzione significa anche ridare un pò di linfa all'economia dei nostri paesi. La speranza è che dopo un avvio lento, possa aversi, anche per la spinta del nuovo governo, quell'accelerazione che tutti paiono auspicare. E soprattutto che alle parole, seguano fatti concreti.” Intanto un sostegno non indifferente potrebbe arrivare dal turismo, oggi praticamente inesistente. Organizzare quaggiù gite e pellegrinaggi potrebbe diventare occasione di arricchimento umano e materiale per tutti. E a smuovere le coscienze e a non far sentire una popolazione abbandonata. A poca distanza sorgono alcuni tra i borghi più belli d'Italia: Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Castel del Monte, Pietracamela, Isola del Gran Sasso protetta dal Santuario di San Gabriele dell'Addolorata, Tossicia. Visitare per credere! Gli aquilani aspettano visitatori sorridenti e cordiali che donino, anche solo per mezza giornata, un sorrido, un saluto, uno sguardo affettuoso. La vita riparte anche così. E' ormai l'ora di pranzo. Mi avvicino al Duomo dove alcune associazioni hanno tappezzato le infrastrutture con stoffe colorate lavorate ai ferri o con l’uncinetto per ripartire tutti insieme al motto “Mettiamoci una pezza”. Un’altra iniziativa per ridare colore e vita ad una città in cui, da tre anni, regna un solo colore: il grigio. C'è un ambulante che vende formaggi tipi abruzzesi. Mentre mi avvicino, l'unico commerciante aperto la mattina pasquale in mezzo al niente, mi esclama: "Benvenuti". L'Aquila rinasce dalle sue macerie.
Cupola Santa Maria del Suffragio o delle Anime Sante |
Zona rossa - Centro Storico |
Ricordo davanti "La Casa dello Studente" |
Nulla, o quasi, è cambiato da quei primi mesi di emergenza. Alfredo Di Varano, sindaco di Isola, comune di quasi 5 mila abitanti, è chiaro: “"Per le nostre terre ricostruzione significa tornare alla vita, soprattutto per la città dell'Aquila, con la quale il mio comune è separato solo dal Gran Sasso. L'aquila è morta. Ora ha bisogno di uno scatto che porti alla rinascita vera della città. Ricostruzione significa anche ridare un pò di linfa all'economia dei nostri paesi. La speranza è che dopo un avvio lento, possa aversi, anche per la spinta del nuovo governo, quell'accelerazione che tutti paiono auspicare. E soprattutto che alle parole, seguano fatti concreti.” Intanto un sostegno non indifferente potrebbe arrivare dal turismo, oggi praticamente inesistente. Organizzare quaggiù gite e pellegrinaggi potrebbe diventare occasione di arricchimento umano e materiale per tutti. E a smuovere le coscienze e a non far sentire una popolazione abbandonata. A poca distanza sorgono alcuni tra i borghi più belli d'Italia: Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Castel del Monte, Pietracamela, Isola del Gran Sasso protetta dal Santuario di San Gabriele dell'Addolorata, Tossicia. Visitare per credere! Gli aquilani aspettano visitatori sorridenti e cordiali che donino, anche solo per mezza giornata, un sorrido, un saluto, uno sguardo affettuoso. La vita riparte anche così. E' ormai l'ora di pranzo. Mi avvicino al Duomo dove alcune associazioni hanno tappezzato le infrastrutture con stoffe colorate lavorate ai ferri o con l’uncinetto per ripartire tutti insieme al motto “Mettiamoci una pezza”. Un’altra iniziativa per ridare colore e vita ad una città in cui, da tre anni, regna un solo colore: il grigio. C'è un ambulante che vende formaggi tipi abruzzesi. Mentre mi avvicino, l'unico commerciante aperto la mattina pasquale in mezzo al niente, mi esclama: "Benvenuti". L'Aquila rinasce dalle sue macerie.
Marco Antonini
(da l'Azione del 28/04/2012)
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