domenica 30 marzo 2014

LISTE D'ATTESA: I NOSTRI DIRITTI. Di Giuseppina Tobaldi

Ognuno di noi ha avuto modo di sperimentare le lunghe liste d’attesa quando ci si reca al CUP dell’ospedale per chiedere un appuntamento  per una visita o per un esame diagnostico.  Il problema non si pone se la richiesta in questione ha uno scopo di monitoraggio o di prevenzione, ma se l’esame è urgente perché si può determinare il peggioramento di una patologia, allora si decide di ricorrere alla prestazione privata cosiddetta “intramoenia”, pagando secondo il tariffario esposto accanto agli sportelli per il pagamento del ticket. Quello che ho scoperto recentemente è l’esistenza di una legge regionale, la 1040 del 18 luglio 2011, che stabilisce i tempi massimi delle liste d’attesa e i criteri degli stessi. Se fate caso sull’impegnativa che il medico utilizza per le richieste di esami o prestazioni vi sono 4 codici che il medico stesso può barrare a seconda della patologia del suo paziente e dell’urgenza: U (urgente tempo max. 72 ore)– B (breve tempo max. 10 giorni) – D (differibile tempo max. 45 giorni)– P (programmata tempi anche lunghi in quanto intervento finalizzato a monitoraggio o prevenzione).   Lo spirito della legge è quello di garantire il diritto alla salute e un sistema sanitario efficiente ed eticamente corretto. La stessa legge prevede l’obbligo in nome della trasparenza, della pubblicizzazione attraverso gli Uffici relazioni con il pubblico (URP) dei “tempi di attesa” e l’obbligo, in nome della partecipazione e del coinvolgimento dell’utenza, per le Aziende del Servizio sanitario regionale, di incontrare periodicamente le associazioni di cittadini e i comitati di tutela, cosa che non è mai avvenuta: tanto è vero che la maggior parte dei cittadini (e forse anche dei dipendenti dell’ASUR, che altrimenti avrebbero sentito il dovere di dircelo!) non ne è a conoscenza. Se ricorrere alla prestazione privata non è una libera scelta, ma un ripiego obbligato per l’incapacità del servizio pubblico di tener fede al rispetto dei tempi massimi, allora la stessa legge prevede che la visita o l’esame tramite libera professione deve essere sostenuta economicamente dall’azienda, riservando al cittadino solo l’eventuale (salvo esenzione) partecipazione al costo (cosiddetto ticket).  Ho intenzione di condividere con voi queste informazioni perché l’esito positivo della mia piccola (e neanche tanto faticosa) battaglia fatta per mio padre non voglio che rimanga un suo esclusivo vantaggio o che appaia come un favoritismo, quando invece trattasi di un diritto, quello alla salute, che è stato riconosciuto ad un cittadino. Dovendo prenotare un esame che il medico ha individuato nella tipologia B, mi reco a chiedere un appuntamento. Mi dicono che per tutto il 2014 non esiste la possibilità di ottenerlo. Anzi l’impiegato dello sportello del CUP risponde in modo stizzito che il codice B, non solo non cambia la situazione (comunque non c’è posto), ma non è neanche appropriato per quel tipo di esame diagnostico. “Se tutti facessero come lei …” dice mettendo in dubbio la reale urgenza di un esame per un soggetto dalla cardiopatia molto grave.  Cos’è un medico? Spetta a lui valutare la reale necessità di un esame diagnostico?  Chiedo all’altro sportello, quello adibito alle prenotazioni private, quali sono i tempi per un appuntamento : mi dicono 1 settimana-10 giorni; nel frattempo vengo a conoscenza della legge e decido di scrivere al direttore dell’Area Vasta di Fabriano per chiedere il rispetto e l’applicazione della legge regionale 1040 e consegno la lettera all’ufficio protocollo della sede in via Turati. Tempo 2 (due!!!) giorni e arriva una telefonata con la quale mio padre viene informato che la visita si può fare dopo circa 10 giorni con prenotazione presso il CUP con il solo pagamento del ticket (nel caso di mio padre con l’esenzione). 

Tempestivi vero? Due considerazioni. La prima: perché, come prevede la legge stessa, i cittadini non vengono informati dell’esistenza di una legge che ne tutela i diritti? Possibile che non la conoscano i medici, i dipendenti dell’Asur, i dirigenti e che un cittadino debba venirne a conoscenza casualmente o perché magari decide di andare a fondo di un problema? La seconda: perché la dovuta applicazione di una legge deve essere formalizzata tramite una richiesta scritta e protocollata ad un ufficio? Sono sicura che la tempestiva risposta ricevuta sia il frutto di una riflessione e del riconoscimento di un errore, con conseguente volontà di rimediare allo stesso; se così è ringrazio il direttore dell’Area Vasta dott. Giovanni Stroppa per la cortese attenzione che spero vorrà dedicare d’ora in poi ad ogni cittadino che ne abbia diritto, nel rispetto delle norme vigenti.

Giuseppina Tobaldi

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