“Il
piano di salvaguardia e razionalizzazione non è per fuggire
dall’Italia ma per rimanerci”. Lo assicura Marco Milani,
presidente e amministratore delegato di Indesit Company, in
un’intervista apparsa il 19 giugno su diversi quotidiani. Il piano
di ristrutturazione, rivendica Milani, sarebbe fondato sul taglio dei
dipendenti e su nuovi investimenti. “Sarò chiaro: per noi l’Italia
è importante. Nel 2013 produrremo 3,4 milioni di elettrodomestici ma
ne venderemo solo 1,7 milioni e abbiamo una quota di mercato del 25%.
Vogliamo rimanere esportatori. Il problema è che la differenza del
costo del lavoro fra qui ed il resto d’Europa è enorme. La
presenza in Italia ci costa 24 euro l’ora con una penalizzazione
complessiva di 70-80 milioni. Non abbiamo voluto chiudere nessuno dei
tre siti produttivi (Fabriano, Comunanza e Caserta, ndr), dove
abbiamo 2.400 addetti”. Sul piano dei tagli, Milani assicura:
“Siamo pronti a discutere con il sindacato degli impiegati e degli
operai per trovare i migliori strumenti che evitino la perdita del
posto di lavoro e minimizzino l’impatto economico”. Resta
difficile capire come non si possa parlare di fuga e come si debba
sostenere la salvaguardia dei posti. Rimane forte la sensazione che
Indesit stia smobilitando e che l’azienda, in breve tempo, sarà
venduta. Continua la battaglia sindacale e degli operai sostenuti
anche dal sindaco Sagramola e dal vescovo Vecerrica. La stessa
presenza di Susanna Camusso, l’altro ieri, ha dato un’impennata
all’opposizione. Il piano di Milani subisce attacchi su tutto il
fronte. “Hanno scommesso sul fallimento Italia”, tuona il
segretario nazionale della Cgil. “L’azienda non è in crisi, è
in utile. Questi esuberi sono inaccettabili”, aggiunge il primo
cittadino. “Restituite alle Marche ciò che vi è stato dato”,
dice il rappresentante della chiesa. Qualcuno tira in ballo la caduta
di un principio democratico che riguarda la “difesa sociale”,
altri di un’idea di futuro brutalmente abbandonata. Marco Milani
prosegue nella sua strategia e non si sottrae ai microfoni e ai
taccuini. La famiglia Merloni viene chiamata in causa ma tace. La
protesta non dorme e sono annunciati altri scioperi e altre
manifestazioni. Siamo alle solite: un’azienda rincorre il profitto
a discapito del territorio e degli abitanti. C’è un limite che non
si può superare? La legge del mercato non lo impone, la politica non
può delimitarlo e la gente è impotente. Chi
ha adottato l’euro ha pagato un prezzo molto elevato in termini di
crescita e di occupazione. i paesi sono diventati più poveri ed
hanno visto svanire le prospettive di crescita, come
ha certificato l’organizzazione internazionale del lavoro. E sembra
già una sentenza inappellabile.
Alessandro Moscè
Direttore Editoriale
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