lunedì 26 maggio 2014

IL MALE DELLA PROVINCIA - di Alessandro Moscè


La provincia, con i suoi pregi e i suoi difetti. “Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”, diceva Italo Calvino, il quale aggiungeva: “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”. “Le città invisibili” del 1972, ci ricorda che il viaggio dentro la provincia non è mai del tutto sereno. Perché se da un lato il borgo natio favorisce i rapporti interpersonali, dall’altro può esasperarli. Un amico di Fabriano, il grande scrittore Roberto Pazzi, scrisse un romanzo dal titolo “Le città del dottor Malaguti” edito da Garzanti nel 1993 e ripubblicato da Corbo nel 2008. Di una città, della nostra città, cogliamo d’abitudine solo gli aspetti più superficiali, le sensazioni di un istante, la monotonia della quotidianità. Ma che cosa accade se ad accompagnarci tra le case e lungo le vie di un paesaggio insieme reale e romanzato è una guida come il dottor Malaguti, di professione oculista, e soprattutto attento osservatore delle malattie dell’anima? Ecco, anche Fabriano dovrebbe liberarsi delle malattie dell’anima: invidie e gelosie, rivalità e individualismi. Liberata dalle miopie fisiche e psichiche dei suoi abitanti, quella città cara a Pazzi, nel romanzo, rivelerà storia e leggende, favole e pettegolezzi, le memorie dei morti e le passioni dei vivi, le incertezze del presente e le immagini di un futuro diverso. E così, in quei luoghi troppo odiati e troppo amati, tra il sindaco Orsucci e l’arcivescovo Belcari, l’aviatore Roberto Fabbri e il bostoniano Alfred Lowell, può accadere di tutto. Che il Papa fugga dal culto televisivo per rifugiarsi nella clandestinità. Che il tradimento di una giovane donna innamorata scateni un intrigo soprannaturale. Che in una notte duemila galline volino tutte insieme, magicamente, per diversi chilometri. Che un’antica Certosa offra rifugio agli immigrati provenienti dai più remoti angoli del mondo. Che un padre e un figlio, un tempo rivali, riescano finalmente a parlarsi. Che diventi possibile spezzare, almeno una volta, l’apatia e la disperazione della provincia. Questo per dire cosa? Che padroni del nostro destino siamo noi, chiusi in una bolla di sapone. Se la provincia si trasforma in nell’inganno maldicente e frutto della provincialità, allora non sarà più una risorsa. E i danni si pagano. E’ il momento in cui Fabriano andrebbe concertata, a livello pubblico e privato, oggi più che mau. Resta sempre un problema di fondo, però: da dove cominciare? E con chi? Non ci resta che il senso immaginifico e un po’ visionario per uscire dalle secche di un male che è annidato non solo nelle fabbriche senza futuro, ma specialmente dentro di noi.

Alessandro Moscè


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