La provincia, con i suoi pregi e i suoi
difetti. “Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”, diceva
Italo Calvino, il quale aggiungeva: “D’una città non godi le sette o le
settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”. “Le città
invisibili” del 1972, ci ricorda che il viaggio dentro la provincia non è mai
del tutto sereno. Perché se da un lato il borgo natio favorisce i rapporti
interpersonali, dall’altro può esasperarli. Un amico di Fabriano, il grande
scrittore Roberto Pazzi, scrisse un romanzo dal titolo “Le città del dottor
Malaguti” edito da Garzanti nel 1993 e ripubblicato da Corbo nel 2008. Di una città, della nostra città, cogliamo
d’abitudine solo gli aspetti più superficiali, le sensazioni di un istante, la
monotonia della quotidianità. Ma che cosa accade se ad accompagnarci tra le
case e lungo le vie di un paesaggio insieme reale e romanzato è una guida come
il dottor Malaguti, di professione oculista, e soprattutto attento osservatore
delle malattie dell’anima? Ecco, anche Fabriano dovrebbe liberarsi delle
malattie dell’anima: invidie e gelosie, rivalità e individualismi. Liberata
dalle miopie fisiche e psichiche dei suoi abitanti, quella città cara a Pazzi,
nel romanzo, rivelerà storia e leggende, favole e pettegolezzi, le memorie dei
morti e le passioni dei vivi, le incertezze del presente e le immagini di un
futuro diverso. E così, in quei luoghi troppo odiati e troppo amati, tra il
sindaco Orsucci e l’arcivescovo Belcari, l’aviatore Roberto Fabbri e il
bostoniano Alfred Lowell, può accadere di tutto. Che il Papa fugga dal culto
televisivo per rifugiarsi nella clandestinità. Che il tradimento di una giovane
donna innamorata scateni un intrigo soprannaturale. Che in una notte duemila
galline volino tutte insieme, magicamente, per diversi chilometri. Che un’antica
Certosa offra rifugio agli immigrati provenienti dai più remoti angoli del
mondo. Che un padre e un figlio, un tempo rivali, riescano finalmente a
parlarsi. Che diventi possibile spezzare, almeno una volta, l’apatia e la
disperazione della provincia. Questo per dire cosa? Che padroni del nostro
destino siamo noi, chiusi in una bolla di sapone. Se la provincia si trasforma
in nell’inganno maldicente e frutto della provincialità, allora non sarà più
una risorsa. E i danni si pagano. E’ il momento in cui Fabriano andrebbe
concertata, a livello pubblico e privato, oggi più che mau. Resta sempre un
problema di fondo, però: da dove cominciare? E con chi? Non ci resta che il
senso immaginifico e un po’ visionario per uscire dalle secche di un male che è
annidato non solo nelle fabbriche senza futuro, ma specialmente dentro di noi.
Alessandro Moscè
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