giovedì 23 maggio 2013

IL SUICIDIO DIMOSTRATIVO DELLO SCRITTORE FRANCESE - L'editoriale di Alessandro Moscè


Lo scrittore e storico francese Dominique Venner, autore di decine di opere che manifestano apertamente la sua adesione all’estrema destra, si è ucciso con un colpo di pistola dietro all’altare di Notre Dame. Il suo più recente impegno politico era stato l’opposizione alla legge sulle nozze gay. Sul suo blog Venner aveva scritto: “I manifestanti del 26 maggio (la prossima dimostrazione di oppositori alle nozze gay, ndr) hanno ragione a gridare la loro rabbia. Una legge infame, una volta votata, può sempre essere abrogata. Serviranno certamente gesti nuovi, spettacolari e simbolici per scuotere i sonnolenti, le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini”. Secondo i primi elementi dell’inchiesta, l’uomo si è sparato mentre si trovava vicino all’altare della chiesa. Sul corpo dello scrittore e storico deceduto immediatamente, è stata ritrovata una lettera nella quale ha spiegato le ragioni del suo gesto. “È stato il suicidio di un uomo disperato” ha detto Manuel Valls, ministro dell’Interno francese, immediatamente arrivato nella Cattedrale di Notre Dame. “Si tratta di un dramma senza precedenti”, ha continuato Valls. Su Twitter la leader dell’estrema destra francese del Front National, Marine Le Pen scrive: “Tutto il nostro rispetto a Dominique Venner, il cui ultimo gesto, eminentemente politico, è stato di tentare di svegliare il popolo di Francia”. Il suicidio, tra ragione e presunta follia, è un gesto totalizzante, spettrale. Non so se possa essere considerato davvero un gesto dimostrativo, ma certamente questa scelta apre uno scenario ben più complesso di ciò che può apparire a prima vista. Diceva Albert Camus: “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”. Non penso che un’azione valga una vita, né tanto meno la politica e le leggi promulgate da un governo qualsiasi. Certo è che la morte volontaria è il segnale che anche le idee contano sempre meno. Il suicidio dei Dominique Vanner ci dovrebbe indurre a prendere coscienza che la predilezione dell’individuo, spesso, non corrisponde ad una realtà condivisibile e può suscitare una reazione nella reazione, inaspettata, repentina, eclatante. Quindi, in questi casi, l’astensione dal giudizio è d’obbligo. Anche nello specifico, probabilmente, non sono le nozze gay il punto focale, ma il sovvertimento di un ordine morale per cui chi si uccide, nell’immaginario collettivo, sarebbe un malato, un esaltato, uno sbandato ecc. Di fronte ad eventi come questo provo solo smarrimento. Suicidio come reazione? Suicidio come vendetta? Suicidio come disagio? E il suicida, di fatto, desidera veramente morire?

Alessandro Moscè

Direttore Editoriale

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