Lo scrittore e storico francese Dominique Venner, autore di decine di
opere che manifestano apertamente la sua adesione all’estrema destra, si è ucciso con un colpo di pistola dietro
all’altare di Notre Dame. Il suo più recente impegno politico era stato
l’opposizione alla legge sulle nozze gay. Sul suo blog Venner aveva scritto: “I
manifestanti del 26 maggio (la prossima dimostrazione di oppositori alle nozze
gay, ndr) hanno ragione a gridare la loro rabbia. Una legge infame, una volta votata, può sempre essere abrogata.
Serviranno certamente gesti nuovi, spettacolari e simbolici per scuotere i
sonnolenti, le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre
origini”. Secondo i primi
elementi dell’inchiesta, l’uomo si è sparato mentre si trovava vicino
all’altare della chiesa. Sul corpo dello scrittore e storico deceduto
immediatamente, è stata ritrovata una lettera nella quale ha spiegato le
ragioni del suo gesto. “È stato il suicidio di un uomo disperato” ha detto Manuel Valls, ministro dell’Interno francese,
immediatamente arrivato nella Cattedrale di Notre Dame. “Si tratta di un dramma senza precedenti”, ha
continuato Valls. Su Twitter la leader dell’estrema destra francese del Front National,
Marine Le Pen scrive: “Tutto il nostro rispetto a Dominique Venner, il cui
ultimo gesto, eminentemente politico, è stato di tentare di svegliare il popolo
di Francia”. Il suicidio, tra ragione e presunta follia, è un gesto
totalizzante, spettrale. Non so se possa essere considerato davvero un gesto
dimostrativo, ma certamente questa scelta apre uno scenario ben più complesso
di ciò che può apparire a prima vista. Diceva Albert Camus: “Vi è solamente
un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la
vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito
fondamentale della filosofia”. Non penso che un’azione valga una vita, né tanto
meno la politica e le leggi promulgate da un governo qualsiasi. Certo è che la
morte volontaria è il segnale che anche le idee contano sempre meno. Il
suicidio dei Dominique Vanner ci dovrebbe indurre a prendere coscienza che la
predilezione dell’individuo, spesso, non corrisponde ad una realtà
condivisibile e può suscitare una reazione nella reazione, inaspettata,
repentina, eclatante. Quindi, in questi casi, l’astensione dal giudizio è
d’obbligo. Anche nello specifico, probabilmente, non sono le nozze gay il punto
focale, ma il sovvertimento di un ordine morale per cui chi si uccide,
nell’immaginario collettivo, sarebbe un malato, un esaltato, uno sbandato ecc. Di
fronte ad eventi come questo provo solo smarrimento. Suicidio come reazione?
Suicidio come vendetta? Suicidio come disagio? E il suicida, di fatto, desidera
veramente morire?
Alessandro
Moscè
Direttore
Editoriale
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